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DELITTO/CASTIGO

adattamento teatrale di Sergio Rubini e Carla Cavalluzzi

con
ROBERTO SALEMI
FRANCESCA PASQUINI

e con
G.U.P. ALCARO

voci
FEDERICO BENVENUTO
SIMONE BORRELLI
EDOARDO COEN
ALESSANDRO MINATI

regia

SERGIO RUBINI


Vertigine e disagio accompagnano il lettore di Delitto e Castigo. La vertigine di essere finiti dentro l"ossessione di una voce che individua nell'omicidio la propria e unica affermazione di esistenza. E quindi il delitto come specchio del proprio limite e orizzonte necessario da superare per l"autoaffermazione del sé. Un conflitto che crea una febbre, una scissione, uno sdoppiamento; un omicidio che produce un castigo, un"arma a doppio taglio.

Come è la scrittura del romanzo, dove la realtà, attraverso il racconto in terza persona, è continuamente interrotta e aggredita dalla voce pensiero, in prima, del protagonista. Ed è proprio questa natura bitonale di Delitto e Castigo a suggerire la possibilità di portarlo in scena attraverso una lettura a due voci. Sergio Rubini e Luigi Lo Cascio sono le due voci dell"opera e trascinano il pubblico nel racconto, facendo vivere in prima persona l"ossessione del protagonista.

Trama
Delitto e Castigo, l"opera più letta e conosciuta di Dostoevskij, racconta il tormento di Rodiòn Romànovic Raskòl"nikov, un giovane poverissimo e strozzato dai debiti, che uccide una vecchia e meschina usuraia. Nel romanzo è evidente il conflitto interiore del protagonista, che crea in lui una scissione; ne viviamo i lucidi ragionamenti, in cui si rifiuta di provare rimorso, per dimostrare a se stesso di appartenere alla categoria di quelli che lui definisce
i "napoleonici-, i grandi uomini, le menti superiori dalle idee rivoluzionarie, autorizzati a vivere e agire al di sopra della legge comune, perché tutte le loro azioni, anche quelle condannate dalla morale, hanno come fine ultimo il bene collettivo. Tenta di convincersi che l"omicidio della vecchia usuraia, poiché ha liberato dal giogo molti poveri creditori e eliminato dalla faccia della terra un essere maligno, non solo non è condannabile e non dovrebbe procurargli alcun pentimento, ma costituisce la dimostrazione stessa della sua appartenenza ad una categoria superiore. Dall'altro lato, però, viviamo il lento affiorare in lui della consapevolezza di non riuscire a sfuggire ai sensi di colpa e al terrore di essere scoperto: deve rassegnarsi, alla fine, di essere non già un grande uomo, ma un "pidocchio-, e, come tale, di meritare una punizione.



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