Perché il caffè non salverà il Brasile dalla crisi - Diba 70 distributori professionali, rassegna stampa Siena

Perché il caffè non salverà il Brasile dalla crisi - Diba 70 distributori professionali, rassegna stampa


Il Brasile si aggrappa alle esportazioni per uscire dalla crisi, ma il caffè e le altre materie prime non saranno in grado di compensare il calo del pil.

Resta piuttosto stabile il cambio tra il real e il dollaro a 3,86, non lontano dal minimo storico di 4, toccato 13 anni fa. Il mercato non sembra essere stato scosso in un senso o nell'altro dall'annuncio di misure di austerità per 17 miliardi di dollari (l'1,2% del pil) per l'anno prossimo da parte del ministro delle Finanze, Joaquim Levy, e della presidente Dilma Rousseff.

Il primo ha fatto professione di ottimismo nei giorni scorsi, sostenendo che la ripresa dell'economia brasiliana avverrà grazie alle esportazioni. Il convincimento del governo è che il forte deprezzamento del reale, che negli ultimi 12 mesi ha perso il 31% contro il dollaro, si traduca alla fine in un incentivo per le esportazioni e, quindi, in un sostegno al pil.

Queste previsioni cozzano con quelle degli analisti, che tagliano le loro stime sia per l'anno prossimo che per il 2017. In effetti, da anni il trend non è positivo per il Brasile. Nel 2004, le esportazioni ammontavano al 16,5% dell'economia. Nel 2010, la Rousseff ereditò dal presidente Lula un misero 10,7% e tra alti e bassi, oggi le vendite all'estero di beni e servizi brasiliani fanno appena l'11,5% del pil.

Il calo potrebbe essere addebitato essenzialmente a una crescita economica trainata più dai consumi interni, grazie anche - va riconosciuto - alla forte riduzione del numero dei poveri, che sotto Lula è stata pari a 40 milioni di persone. Ma le cifre attuali non possono essere considerate soddisfacenti, se si considera che economie emergenti come Messico e Cile esportano per circa un terzo del loro pil e Cina e India quasi il doppio del Brasile, in termini percentuali.

Caffè Brasile ha peso scarso sul pil

Eppure, il paese sudamericano produce petrolio e altre materie prime, come la soia, il caffè, lo zucchero, la carne di manzo. In particolare, è il maggiore produttore ed esportatore al mondo di chicchi di caffè. Nei primi 8 mesi di quest'anno, ne ha venduti all'estero 23,4 milioni di sacchi da 60 chili ciascuno, l'1,2% in meno su base annua, anche se ha incassato l'1% in più, ovvero 4,08 miliardi di dollari. Su base annua, quindi, il peso dei chicchi sul pil sarebbe compreso tra lo 0,3% e lo 0,4%.

Stando alle previsioni degli analisti, il livello delle esportazioni brasiliane dovrebbe salire in valore assoluto fino a 230 miliardi di dollari entro i prossimi 2 anni. Erano attese oltre i 300 miliardi all'inizio dello scorso anno. Considerando l'inflazione, in rapporto al pil non si avvertirebbe alcun incremento, anzi, si potrebbe registrare un calo dall'11,5% attuale. Quand'anche vi fosse una crescita sostenuta, essa non sarebbe tale da compensare gli effetti della recessione in corso.

In sostanza, le cifre condannano il Brasile a non cercare scappatoie per risolvere i problemi alla base di questa crisi economica. Le riforme e il risanamento dei conti pubblici restano ineludibili. Semmai esporterà qualche sacco di caffè in più, servirà ben poco a imprimere un'inversione di tendenza all'economia nazionale.

Giuseppe Timpone, investireoggi

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